lunedì 18 luglio 2011

Orsomaria

di Margherita Tercon

Driiiiin! Oooh! Ma. Bastaa!! Io. Arrivo! Io. Sì! Vado! Ma coome sono le nove! E non chiamarmi con il campanello che fa un rumore odiooso! E non la smetto con questa lagna! Adesso vad. Driiin!  Basta! Non siamo nell’eseercito! Calzino uno. Alzo lentamente la gamba. Muovo le dita dei piedi. Oh, guarda come ballano! Il mignolino. Come quello della bambi. No, anzi, no. Prima osservo il calzino. Ecco, è puli. No! C’è un peletto. Maledizione. Odio i calzini con i peletti. Ecco, lo tolgo. Pinzette? Che schifo, senza pinzette. Driiin! Arrivo, piantalaa! Non è possi. Non è coolpa mia! Poteva svegliarmi prima. E non l’ho fatta la doccia, va beene? Basta gridare, tanto non capisco! Perché deve chiamarmi sempre con il campanello delle urgenze. Delle URGIIENZE è. NON. Della. FRRRREETTA. Infilo calzino uno. Prendo calzino due, infilo calzino due. Tolgo calzino due, non ho controllato se c’erano peletti. La mamma non guarda più i miei calzini da quando esce con quell’orrido orrendo orripilante essere. E i peletti sono sempre in agguato! Come i gatti! I gatti orridi orrendi orripilanti che girano per casa. Io sono una persona per bene. Dillo, Orsomaria, su, sei una persona per bene. Ecco. Lo dice anche la bambina della via Driiin! Oooh! Se deve rompere perché non se ne va con quell’orrido orr. Mutande. Che odore. Buono. Posso rimettere quelle di ieri. Ma sì! E che camicia mi metto. Mamma! Che camicia mi metto?! Non me le prepara più sul letto. Ma che tristezza, che delusione, che abbattimento! Da quando esce con quel vecchio, quell’orri. A fiori? Tipo Hawaii? Bella. Ha ancora gusto, la mamma. Credo. Oddio, devo scrivere la lettera per la Bianchi sono in ritardo non ce la farò ma. Ma che fatica allacciarsi questi bottoni. “Tieni la panza indietro!”, mi dice. Intanto si dice PanCCCCia e non Panza. E poi non Indietro. Indietro ci va la. Mi è scoppiato un bottone. Ma porc. Meglio, sembrerò più sofferente. Più patito. Che che sembro sofferente non me lo dicono da quando ero trenta chili in meno. Driiiin! Oggi, dopo, più tardi, ancora un po’ dopo un po’ tardi ma non troppo tardi perché non sia troppo presto per lei ma neanche troppo tardi per me e per. Vado dalla bambina e mi presento. La bambina della via qui dietro. Orsomaria, tredici anni. Tu ne hai dieci, ma mi va bene lo stesso. Con quei bei capelli bion Driiiin! Mamma! Che pantaloni mi metto? Neanche i pantaloni, mi prepara. Quell’orrido orrrrendo essere del suo moroso che cammina col bastone. Che io ci ho provato a azzopparlo, ma quello niente! Pam! Ora ha due bastoni. Che la mamma che non sa che io ci ho provato a azzopparlo dice: “Ma guarda com’è fine quell’uomo, addirittura due bastoni!” E quei bastoni saprei io dove Driiiin! Driiin! Driiiin! Basta! Metto i pantaloncini corti?! Quelli grigi marroni neri verde albero più precisamente pino. Driiiin! Farò colpo sulla bambina. E poi oggi cosa. Odio quando si incastra questa caspiterina cacchieruola di cerniera. La chiamano zip. Ma non è zip! È un mostro malefico che ti incastra tutto, porc. E poi, Zac! Driiiiin! Devo scrivere, subito. Me lo ha detto lei. Come la inizio la prossima lettera? Metto un sandalo, poi l’altro. Uno del Centro mi ha detto che i sandali e i calzini non vanno bene insieme, ma a me non me ne frega niente, io sto troppo comodo e poi alla bambi. Driiiin! La mamma vuole la dentiera per il suo uomo, ma mamma, no! Non gliela do la dentiera la nascondo dentro l’acquario. Oh! Ma io sono vestito, è fantastico, Uao. La nascondo così quell’orrido orripilante uomo la lascia e lei mi rimette i vestiti sul letto e io e lei parliamo d’amore e. Ecco cosa devo scrivere alla dottoressa Bianchi, che buona che è. Anzi. Queste cose le dico al Centro, oggi. Così faccio una bella figura e sembro più patito. Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin! Ooh! Sono quasi pronto! Mancano i fogli nello zainetto, ecco. Io. Un profumo. Rubo quello di mamma, così alla bambina sembro profumato. Lucia, si chiama. Dopo, non tardi, ma non troppo presto e non troppo dopo io. Sono pronto! Tac. Tactactactac dodici scalini in discesa. Ventisettecentomiladieci scalini. Mamma, dove sei? Sono vestito per il Centro per l’Autismo. Mamma! Mi stavi chiamando dal bagno? Se sono in ritardo poi sembra che soffro di più. Mamma, soffro. Mamma esci dal bagno, guarda come sono vestito, dimmi se va be. Va bene?! Dopo scrivo la lettera per la psichiatra Bianchi. Oggi al Centro parlo di te e dell’orre. Apri la porta? La apro io al tre. Tre! Ma? Fai il bagno? Ma perché. Mam. Esci con la testa dall. Respira, su. Dai, che devo andare. Ti prego! Non posso raccontare oggi a quelli del Centro che sei morta. Quello tra un po’. Non puoi affogare, che io alla mia età come lo trovo un lavoro? Sono troppo sofferente. Ho ventinove anni, sono vecchio. Io voglio morire senza lavoro come nei film, quelli belli dove si divertono e ho la morosa che mi mantie. Infatti devo conoscere Lucia. È così carina. La bambina de. Mamma, ora esco. Tu riprenditi. Poi decidiamo quando muori, così mi preparo prima. Ti metto giusto la testa un po’. Un po’ fuori dall’acqua, ecco. Quando torno, dopo, più tardi, ancora un po’ dopo un po’ tardi ma non trop. Ti restituisco anche la dentiera per quell’orrido orripilante orrendo essere che è il tuo moroso. Vado che è tardi, che poi ti arrabbi. Ti compro quel coso per le guancie più scure, che sei un po’ bianca. Ciao.

Ah, mi lasci i soldi?

domenica 17 luglio 2011

Tracce di Umanità

Osservazione Carcere di San Vittore


Azzurro.
Bianco.
Nuvole come cotone.
Luce.
Occhi.
Fessure.
Ferite.
Occhi feriti dal sole.
Occhi come fessure.
Piccole_
feritoie.
Feritoie nelle torrette di guardia.
In cima alle torrette di guardia.
Dove dietro si aggirano
Ombre.
Guardie
Controllano il carcere,
Controllano il traffico
attorno
di macchine
e di persone.
Ruote sfrecciano sulla strada.
Una donna tonda guida_
la sua carrozzina.
Ruote saltellano
ballano
tremano
sul marciapiede.
Radici di alberi spingono sotto al cemento
per uscire.
Piedi calpestano crepe _
nell’asfalto.
Ruote calpestano crepe_
nell’asfalto,
nel cemento,
nella strada.
Crepe corrono
ininterrottamente.
Crepe si arrampicano
sulle mura.
Alte.
Crepe corrono.
All’infinito.
Crepe attraversano linee orizzontali,
ruggine.
Linee corrono
senza tregua
lungo tutto il carcere.
All’infinito.
Crepe_ sul grigio sporco delle mura.
Crepe riflesse
su macchine.
Macchine corrono attorno ai lati.
Crepe sotto i piedi di una guardia.
 La guardia grida_ al telefono.
“Ma ‘sto cazzo di numero, dov’è?!”
Crepe in mani tormentate_davanti all’ingresso_per le visite ai carcerati.
Crepe sul viso sgualcito di un uomo
un completo grigio e stirato
come le mura.
Crepe nascoste
Da linee dritte.
Linee dritte
scendono
dai suoi pantaloni
si piantano a terra
incrociano radici
erba
sporco.
Tracce di umanità abbandonate,
buttate,
cancellate,
dimenticate.
A terra.
Su volantini.
Su immondizia.
Su fazzoletti sporchi, puzzolenti,
su petali di rosa. Secchi. Color sangue.
Tracce di umanità convinta
-sui muri,
domanda:
Me perdonas?
Sangue sulle mura.
Bombe.
Cola vernice di sangue.
Da bombe di colore sulle mura.
Cola colore,
spingono radici,
corrono crepe,
pulsano vene.
Stanche e gonfie.
In scarpe con zeppa.
Confortano piedi
in piccole ballerine.
Una donna bionda, bianca, dall’aria stanca
Attende
Su_una panchina
Abbraccia
La sua bambina
dai capelli scuri.
Fissa l’ingresso
Ferita dal sole
Per tempo infinito
E non dice nulla.


Margherita Tercon