Erano….
Erano solo i ricordi. Erano solo i ricordi di un posto vuoto.
Era vita.
Era vita abbandonata.
Buttata, accumulata e abbandonata.
Cancellata. Con un’anima.
Erano delle fotografie in una palestra, erano fotografie di amiche tue, non più tue.
Era una lezione di educazione fisica con troppe persone.
Era una lezione a cui non potevi partecipare, stavi male.
Era una lezione durante la quale gli altri correvano, tu ascoltavi le prime storie di sesso di chi già non era più vergine da un pezzo.
Era la luce.
Era il soffitto altissimo.
Il suono dei palloni che si moltiplicava. Che si moltiplicavano. Battendo, rimbalzando, cascando.
Era la luce.
Erano i colori del giorno che si infiltravano dalle finestre.
Erano le porte-finestre.
Era il caldo e il quadrato di sole che illuminava il pavimento quando l’estate la porta si lasciava aperta.
Era quel filo d’aria atteso, che non arrivava mai.
Erano gli amici.
Erano i tuoi amici.
Erano compagni.
Quelli che ora, compagni non sono.
Erano ragazzini.
Infanzia, adolescenza. Odi, gelosie.
Erano fotografie di culi, chiappe, persone sorridenti.
Ragazzi con cui volevi, ma non potevi stare.
Erano palle prese male.
Erano giornate prese male.
Erano maniche corte
che non potevi portare
Erano polsi
che non potevi mostrare.
Era tutto scuro
Quando arrivava l’inverno
Quando a correre il caldo tornava
E qualcuno un’occhiata ti dava.
Tagli nelle braccia, tagli nelle vene.
Bruciavi corroso di pene.
Ma queste.
Finte.
Erano.
Erano
Finte malinconie
Di un pazzo
Che passò le sue giornate
Rodendosi
Mentre il mondo
In realtà
Lo rallegrava.
E così.
E così questa notte.
Dopo sette anni.
Ho rimesso piede lì. E ciò che ho visto
Era qualcosa che non ricordavo
Violavo uno spazio straniero.
Qualcuno, qualcosa non mi riconosceva.
E non erano i rumori della palestra, non era il buio della notte.
Non era la tenda che divideva lo stanzone in due, perché ormai c’erano troppe classi in quella scuola.
Non erano le gocce che cadevano dal soffitto. Che cadevano in frisbee appoggiati a terra, al contrario.
Non era la paura di essere scoperti
E il dispiacere di riuscire a entrare in piena notte in una palestra abbandonata.
Non era la notte,
il buio,
il sole e il falso fresco che non entravano dalla porta-finestra.
Ero io.
Erano i miei piedi, le mie suole.
Erano le mie echi, ero io a rimbombare.
Violavo i miei ricordi.
Ricordi che chiedevano di non essere toccati.
Amici che continuavano a fare ginnastica
In quella palestra abbandonata d’estate.
Erano ricordi che, chiassosi, mi tornavano alle orecchie
E che io non volevo sentire.
E che io non volevo ricordare.
Era la vita.
Ed era la vita.
Era la vita che era vita.
E che mi voleva ricordare di andare via
Perché lì,
ora,
non ce n’era più.
Margherita Tercon