sabato 8 ottobre 2011

ERROR#1

Monologo. Chi non lo fa con se stesso?


ERROR#1 

Bene. Come dire… bene.
Da dove voglio partire?
Da dove sono ora.
Dove voglio arrivare?
Vorrei saperlo.
Se la vita si potesse scrivere come un testo teatrale fatto bene, non sarebbe troppo difficile. Te la studi prima, sai già quali sono gli imprevisti che capitano, pianifichi il modo per superarli e scegli la tua conclusione. Ovviamente, mixando con un po’ di cinema, scriveresti anche “The End”.
Riproviamoci.
Da dove voglio partire?
Da qui. O forse dall’inizio.
Dove voglio arrivare?
Vorrei saperlo.
Non ho sbirciato le risposte di prima, sono venute naturali. Il che significa che non ci ho riflettuto abbastanza. Oppure ci ho riflettuto troppo e, dopo un gran giro, sono tornata al punto di partenza. Che però, a questo punto, è una conclusione.
Cambiamo metodologia. Potrei provare a costruire il mio personaggio. Allora…. Margherita Tercon. Margherita Tercon… potrei cambiare il mio nome in qualcosa di comico. No, no. Potrei cambiare il mio cognome in una delle tante storpiature che mi sono state date. No. Potrei smetterla di prenderla così alla larga. Come dice Clément in un libro di Pennac: “Sono vent’anni che la prendo alla larga.” E allora arriviamo al punto.
Il punto sei tu.
Ah, non te l’aspettavi. Non te l’aspettavi, eh? Ora sono stata diretta.
Questo è il genere di cose che amo. Lanci una cosa, la scrivi, ma poi non la fai leggere alla persona interessata. L’ho fatto un sacco di volte. In realtà non si risolvere niente, ma almeno sono in pace. Ho parlato. Questa è la verità.
Beh, il problema sei tu. Sei tu coi tuoi capelli. Sei tu con i tuoi cazzo di capelli, cazzo! Sono lunghi. E morbidi. Anche se non li hai pettinati. E tu dici di non averli pettinati, ma io potrei non crederti. Ma io ti credo lo stesso. Anche se non ti conosco.

Due spazi. Due spazi significano che mi è balenato alla mente un ricordo.
Sei tu. Sei fatto per restare nella memoria.

Ho quindici anni. È inverno, li ho compiuti da poco. Sto scrivendo qualcosa che mi piacerebbe diventasse un romanzo. Non è andata così, ma qualcosa è rimasto uguale. Ero in camera mia, a Rimini, al buio. Avevo la serranda abbassata, lo schermo del computer nero nella stanza nera. Il telefono staccato, niente, nessuno nel mio mondo. Nessuno nel mio mondo tranne i personaggi che iniziavano a vivere nelle mie parole. E lei, la ragazza. Lei, come me. E lui, il ragazzo. Quello che arrivava nell’apocalisse, quello che arrivava nel caos, quello che le metteva d’improvviso una mano sulla bocca per non farla urlare, per non far sentire il suo grido di spavento ad orecchie che dovevano restare sorde. Si avvicinava, le sussurrava poche parole nell’orecchio, così vicino… e lei, lentamente, lasciava scivolare via la paura dal suo corpo. E ascoltava. Ma lui era alle sue spalle. Lei non lo poteva vedere. Ma lui, liberandola e prendendola per il polso, la portava via, nel buio tra palazzoni alti. In silenzio. E poco prima di scomparire al sicuro nel buio, comparivano. E lui aveva gli stessi, lunghi capelli. E la stessa altezza, e le stesse mani che si era portato nel buio, al sicuro, con lei.
Non mi era mai tornato alla mente questo ricordo prima d’ora. Prima d’ora, che ho parlato dei tuoi capelli. E la storia era andata poco avanti, si era bloccata lì. Il racconto continuava con il mondo, ma non con loro due. I due sono rimasti lì, al buio, fino ad oggi, ad aspettare che finisse il caos della città per tornare alla luce. Ecco cos’è successo. Si sono soltanto affacciati più in là. Un po’ più in là. Se sei arrivato in fondo ad una stradina chiusa e lì non ci puoi più stare, devi percorrerla al contrario se vuoi trovare qualcosa di nuovo. Ma poi, la luce improvvisa ferisce le pupille strette. E troppo abituate al buio devono fare un passo indietro per abituarsi alla nuova vista, per non restarne accecate. Ecco cos’è successo.
Stare al sicuro ha i suoi pro, ma anche i suoi contro. Nascondersi ha i suoi pro e i suoi contro. Tacere, scomparire, mentire. Ignorarsi. Dimenticarsi. Ma poi ci si ricorda che tanto, da lì, non si può fuggire. Con il corpo sei ancora tra quei palazzi.
Sei tu. Sei fatto per restare nella memoria.
E io che pensavo di non averne, di memoria.


Margherita Tercon/Tecnor/Tercom/Percon/Percot

Colpevole. ovvero - la mia etichetta. POLITICA, cazzo!

Ci sono sempre dei pregiudizi. Dei preconcetti. Dei prequalcosa.
Delle premesse.
Delle… non mi viene la parola, ma sicuramente inizia con pre.
Beh, il mio pre è che sono nel torto. Ho sbagliato. Errore. GNEEEE. Alt. SbaglioSbaglioSbaglio! Allarme Rosso!
Direi basta così. Adesso… non è nemmeno qualcosa di così grave. Cioè, forse sì, dipende dalle aspettative di ciascuno nei riguardi di determinate cose.
Restare sul vago para il culo a me, ma rende poco comprensibile ciò che sto scrivendo.
Non me ne frega.
Già il fatto che io lo stia scrivendo a milioni, miliardi di persone è un’ammissione di colpa. E non provate a protestare contro il numero di persone che ho detto, perché ciò che scrivo è fruibile (va bene fruibile?) da miliardi di persone, che poi la leggano al massimo due persone è un’altra storia.
Ed è la mia fortuna. Perché io mi illudo di una cosa e poi… E poi basta.
Ma mi è ben venuta in mente un’idea, adesso.
Semplicemente non scrivere oltre. Non aggiungere informazioni riguardo quello che ho fatto e tutto quello che è successo e tutto quello che volevo dire e tutto… vaff.
Oh, no, odio dire le parolacce, soprattutto gratuite, ma questo mi para nuovamente il deretano. Ecco, ho detto deretano, ora direi che posso dire di dire di dirmi di dirvi che io sia o possa essere o possa e basta o sono una persona fine. Ho detto deretano, ma tanto vi siete già scordati di cosa stavo parlando.
Beh, ciao.
<3
M.T.